12 Cose da fare a Palermo (seconda parte)

 

Prima di cominciare è doveroso ricordare che senza un Nano da Giardino nel Portabagagli è inutile proprio anche solo pensare di partire, ok? Smettiamola di essere disorganizzati, santocielo.

(le prime sei cose da fare a Palermo le trovi cliccando qui >>>)

L’itinerario Serpottiano non lo inserisco neanche nelle dodici cose da fare a Palermo perchè talmente lapassiano che il sol farlo potrebbe risultare ai limiti dell’offensivo. Perchè Palermo in questa baraonda visiva di vicoli dove vecchio e nuovo si mischiano in un pericoloso capogiro di magnificenza, traborda di prodigiosi stucchi del Serpotta. L’itinerario quindi comprende oltre agli oratori del Rosario di Santa Cita, di San Lorenzo e del Rosario di San Domenico anche le chiese di Sant’Agostino e San Francesco d’Assisi. La grandezza ineguagliabile del grande scultore Giacomo Serpotta fu proprio quella di rifuggire dal materiale allora adoperato dai più autorevoli artisti. Serpotta difatti per modellare statue e decorazioni si affidava allo stucco e non preferiva il marmo di certo più resistente. Quel soffice impasto con il genio e l’abilità veniva trasformato in un sorprendente decoro ramificato di unica beltà. Purtroppo il tempo e le conservazioni poco adatte hanno rovinato memorie passate ma bisogna assolutamente gustarne la delicatezza quando si è Palermo. Angeli, Putti e la sua firma: una lucertolina che in dialetto siciliano diventa “sirpuzza” in ricordo del cognome di questo grandissimo artista.

Questo per dire insomma che oltre queste dodici cose da fare in tutta fretta se si è a Palermo pochi giorni come è accaduto a me, ci sarebbe da sottolineare una moltitudine di roba trabordante da sacchi dove c’è scritto “bellezze palermitane”. Perchè credo sia anche questo Palermo, oltre una sorprendente trasformista che è prima araba, poi normanna, poi sicula, poi spagnola, poi modernissima, poi antichissima, poi verdissima, poi nerissima. Credo sia davvero un sacco di iuta enorme dove Mary Poppins ci abbia messo lo zampino. Si possono estrarre ricordi, passati, futuri, presenti, stucchi, putti, spazzatura, bancarelle, lusso sfrenato.

Cominciamo con le ultime sei cose da fare a Palermo? (e se domani trasformassi questo post e lo intitolassi le 18 Cose da fare a Palermo e poi le 24 fino a un numero periodico a caso?)

1. Se a Catania c’è il Vulcano Etna a proteggere visivamente gli abitanti terrorizzandoli al tempo stesso, a Palermo c’è il Monte Pellegrino. Johann Wolfgang Von Goethe lo definì il “più bel promontorio del mondo” e chi siamo noi comuni mortali per dar torto a Goethe? Sul Monte Pellegrino, esattamente a 429 metri di altezza sul livello del mare, si trova il santuario di Santa Rosalia, la patrona di Palermo che riuscì con un miracolo a debellare un’ondata di peste nel 1624. Come accade per Sant’Alfio nella provincia di Catania, tradizione vuole che la notte tra il 3 e il 4 settembre molti fedeli devoti a Santa Rosalia percorrano questo tragitto fin sopra il Monte Pellegrino. Anticamente scalzi e persino trascinandosi solo sulle ginocchia.

Come accennavo anche qui nella Sicilia orientale la tradizione voleva che durante il pellegrinaggio per chiedere qualche grazia a Sant’Alfio si andasse scalzi. Anticamente la navata addirittura dove essere percorsa strisciando con la lingua. Abominio culturale fortunatamente ora vietato. Ho visto diversi pellegrinaggi a Sant’Alfio e nella zona del Siracusano, Avola e Noto. Non ho mai visto questo di Santa Rosalia nonostante un allarme sul calendario dell’ipad l’abbia appena inserito. Mi piacerebbe moltissimo vedere nuovamente il Monte Pellegrino illuminato e il contorno chiaramente mistico dell’eventuale “arrampicata” gli conferirebbe di certo una visione spettacolare. Salire sul Monte Pellegrino per godersi la città è un must di una mini guida turistica senza pretese come questa.

2. Prendere la Lambretta! Sì!! Assolutamente sì! E ancora sì! Palermo è piena di carrozze con cavalli e le cifre non sono vergognose come ci si aspetterebbe. Anzi per la durata e per quel povero animale soggetto a portare carrozza, quattro persone e autista mi sembrerebbe pure il minimo. Certo è che vorrei dividesse equamente il compenso con il “cavaliere” per poi passare che ne so una mini vacanza anche lui nel paradiso degli equini sorseggiando cocktail a base di carota, ma. Ma suppongo non possa essere fattibile razionalmente.

Ai quattro canti (altro luogo incantevole da vedere e proprio al centro di Palermo dove si diramano le varie vie principali. Sì signore mie esattamente dove portare i vostri uomini) ce ne sono tantissime di carrozze. Il punto di ritrovo è proprio lì e troviamo conferma nelle parole di Santo, simpatico cavaliere che con una modica cifra ci avrebbe portato trotterelando anche a Favignana. Pare che il cavallo fosse in grado anche di fare le traversate (macchesimpaticaburlonasono?). Mi rifiuto categoricamente di fare il giro in carrozza a meno che non sia io a portare il cavallo in giro perchè no. Affaticare un cavallo per portare in giro le mie chiappe stanche proprio no. Non volendomi rendere complice dell’affaticamento cavallesco da animalista convinta mi sono fiondata in una corsa senza precedenti all’inseguimento di quello che sembrava essere il “lambrettaro” più trendy e fascinoso che ci fosse in giro. E non mi sbagliavo di certo !

L’occhiale fucsia la diceva lunga e difatti Girolamo era perfetto. Un ragazzo simpaticissimo, spigliato, colto e con tantissime cose da dire. Certo è che Girolamo ci dava sotto con l’acceleratore e svicolava donandomi una visione tipica del videogioco più assurdo alla playstation. Ben salda alla comodissima seduta allestita per l’occasione con un telo mare con cartina della sicilia e su scritto “i love sicily“, ho girato in lungo e in largo tutte le vie che avevamo evitato perchè più difficili da raggiungere. E con Girolamo non ci siamo persi, anzi! Abbiamo trovato degli angoli superbamente siciliani e indimenticabili. Il quartiere spagnolo, la Kalsa strepitosa con tutti i chioschetti e baretti e pure un matrimonio con tanto di abbigliamento sconvolgentemente paillettato. Essendo in un mood di compatibilità caratteriale e innegabile affinità, Girolamo ha accostato e mi ha fatto godere di questa strepitosa vista cerimonia sotto una capotte di Lambretta (un sogno inaspettato realizzato). Palloncini al vento, colombe e poco distante i pranzetti volanti di Palermo.

Con banconi allestiti dove si preparavano cozze e limone alle quattro del pomeriggio e tanti calamaretti tagliuzzati. Panelle, cazzilli, sfinciuni! Friggitorie che non smettono mai e quintali di panini con fritture di pesce, melanzane,  e infarinati. E le stigghiole? involtini di budella di agnello cotti alla brace su carrettini ambulanti? tutto! c’era tutto! Girolamo voleva farci assaggiare di tutto e di più ma quando gli ho spiegato della mia intolleranza al latte (ahem voleva offrirmi un cannolo) e del mio vegetarianesimo (ahem voleva offrirmi due calamari e un pochetto di pane ca meusa) ho pregato Santa Rosalia affinchè non dovessi inventare nulla sui carboidrati perchè dallo specchietto mi guardava malissimo quasi a compatirmi. E in effetti mi sono compatita da sola perchè se c’è una cosa che Girolamo è riuscito a fare è stata proprio far nascere la voglia di lanciarmi addosso al primo pane con carne e farla finita! Addentarlo e godermi una giornata senza pensare agli animali, calorie e solo il cielo sa cosa. Non è accaduto e me ne dolgo. Ma Girolamo sappi che ti ritroverò e mangeremo carne come non ci fosse un domani!

In compenso il Nippotorinese è stato catapultato in un carinissimo panificio all’interno di Ballarò (che è bello e ancor di più se a svicolare c’è Girolamo mentre taglia piedi a passanti, suona il clacson e tutti lo salutano mentre affettano pesce e tolgono rami dai finocchi) dove appositamente come tradizione impone gli è stato riempito un cannolo dalle proporzioni Bibliche. Con cioccolato e canditi! Mentre la gentilissima signora si preoccupava per me e per la mia intolleranza al latte e mi raccontava di star attentissima al gelato alla fragola perchè qualche volta il latte lo mettono, il tizio pelato ha fatto fuori anche due biscottini all’anice. Due chili, intendo.

Abbiamo riempito le borse con buccellati e prodotti di panificio e via verso nuove strabilianti avventure. Due ore spaccate. Arriviamo allo Spasimo. Stava per chiudere ma Gerolamo con il suo savoir faire ha cercato di convincere il guardiano e abbiamo goduto, grazie a questo grande uomo con gli occhiali fucsia, di una visione di strabiliante bellezza.

Come sempre grazie a lui abbiamo potuto vedere la “parte della Cattedrale che nessuno conosce.  La più bella”. Come il castello della Zisa di cui “conti i diavoli e non riesci mai a tenere il conto”. E’ stato sorprendente. Come in due ore si possa raccontare una vita, una città, un modo di vivere. Non mi sono preoccupata neanche di non avere più in borsa la protezione cinquanta perchè sotto il sole del pomeriggio con la capotte scoperta. E’ stato bellissimo. Il giro in lambretta si deve assolutamente fare e se beccate Girolamo mi sa che è meglio! Individuarlo non credo sia così difficile. Occhiale fucsia con capacità di ribaltare qualsiasi segnaletica stradale.

3. Pranzetti volanti take away? Approfondiamo l’argomento velocemente! In Sicilia, come anche nella mia città, si ha proprio una fissa. Una mania. Una cultura bastarda alle volte che fa sentire quasi in difficoltà (senza quasi) chi viene ospitato. Se c’è una cosa che diventa ai limiti del fastidioso è l’insistenza innegabile che abbiamo noi siciliani nell’offrire continuamente cibo. Certo ci si può trincerare dietro il fatto che l’ospitalità corrisponda ad una continua premura per l’ospite ma è pur vero che mettere in difficoltà dopo aver servito ottomila portate è quantomeno maleducato. Sta di fatto però che una grande verità esiste da sempre e per sempre: in Sicilia qualsiasi orario sia e qualsiasi cosa tu abbia voglia c’è. La trovi senza particolari ricerche ed è a disposizione di tutti. A cifre ragionevoli e in quantità sconvolgentemente esorbitanti. Una monoporzione qui non esiste. Una monoporzione standard corrisponde ad un piatto dove mediamente tre persone mangiano e pure bene. E quindi a Palermo cosa si trova? Santo cielo si ha difficoltà solo a ricordare. Orbene. Abbiamo accennato già al Pane ca Meusa schetta e maritata nei sei precedenti punti (Focacceria San Francesco in pole position ma si trova ovunque), pane e panelle (le panelle sono fatte con farina di ceci).

Il Nippotorinese associa molto questa pietanza alla classica farinata ligure e così è in effetti). Le quaglie che sono melanzane aperte a fiore e fritte, broccoletti infarinati e fritti, fritture di pesce di tutte le qualità, i cazzilli ovvero polpettine di patate fritte che somigliano alle classiche crocchette ma non certo nel sapore. Arancine come se piovessero con ripieno di  pomodoro, carne tritata e piselli e anche in bianco con burro e formaggio. Ecco a differenza di Catania che ne fa una quantità vergognosa e tutti gusti (salmone, norma, pistacchio, broccoli, spinaci, con prosciutto e formaggio, con salame, al forno, prima nel forno e poi alla brace e tutte le cotture possibili e immaginabili, con cotechino, con passanti e amici etc) ho visto soltanto le due versioni classicissime e tradizionali degli arancini (oh io continuo ad avere difficoltà a chiamarle arancine!). Ma mica c’è solo il fritto eh. Come a Catania si possono trovare moltitudini di fornetti dove si trova verdura arrostita (ma con tanto tanto olio!) come peperoni e carciofi (gnam!). Polpi bolliti con un po’ di limone, ricci di mare, cozze, vongole! I babbaluci! Cosa sono? Le lumache! Lumache condite con tantissimo prezzemolo ed aglio e addirittura hanno proprio una zona indicata su tutte le guide come la zona dei babbaluci (Corso dei Mille). Di tutto. C’è davvero di tutto. Dal primo al secondo al dolce. Vere e proprie bancarelle enorme con moltitudine di frutta. Fichidindia sbucciati (oh! un segreto. Un vero siciliano non mangia mai un fichidindia sbucciato ma lo fa lui sul momento. E’ come la storia del cannolo. Mai comprare un cannolo gia’ con la ricotta. Si deve comprare solo se hanno la cialda e lo imbottiscono sul momento!), melone (il mellone con due elle non è un’errore di battitura ma l’anguria, occhio!), ananas, anguria. Anguria come se piovesse. E da bere? niente paura perchè i chioschi sono così tanti che ci inciampi. Aranciate, limonate o acqua rinforzata con zammù che è l’anice. Mentre a Catania con l’anice facciamo una bibita che prende il nome di Completo: composta da Anice e Orzata. Per dire insomma che se si è a dieta venire a Palermo sarà un po’ come solcare l’inferno ed essere dei piromani in terapia. O una cosa leggermente peggiore,  mi sa.

4. Castellammare del Golfo. Senza indugio. Dirigersi a Castellammare del Golfo per poi andare a Scopello e insomma No! Giammai rinunciare a percorrere questo tratto di autostrada e al fermarsi al belvedere.

Dove un vecchietto che è talmente bello ed adorabile che ti vien voglia di infilarlo nel portabagagli, vende rosmarino freschissimo ai bordi di una delle viste più sconvolgenti che abbiano visto i miei occhi. Roba che non si racconta ma si guarda. Purtroppo soltanto in foto in questo umile resoconto e con un obiettivo anche poco adatto. Se tanto mi dà tanto: basta solo immaginare quanto le vostre pupille vi ringrazieranno semmai doveste portarle a passeggio lì.

5. Fare uno sforzo e spingersi più in là. Lo so lo so . Sentenziavo che c’è troppo da vedere e usciamo da Palermo? Beh sì. Si deve assolutamente fare se si vuole rimanere abbagliati dalla bellezza di San Vito Lo Capo. Confesso che eravamo un po’ titubanti inizialmente. Le location fashion vip, il Nippotorinese le aborre tanto quanto la mia mania per le borse ed io ne rimango abbagliata giusto un attimo il tempo di guardare qualche vetrina, comprare e portare a casa molto velocemente. Perchè non voglio nascondermi dietro una panella (che cade pure ad hoc) è innegabile che cacchio un po’ di shopping si deve pur fare in vacanza! (al rientro.dopo la vacanza. durante il rientro e insomma 24 ore su 24 è la giusta via di mezzo)

Il Fatto è che San Vito Lo Capo, luogo dove ritorneremo assolutamente per più giorni, lo abbiamo visitato purtroppo solo per mezza giornata ma merita. Merita spudoratamente qualche giorno in più. Quando siamo arrivati dopo aver attraversato Scopello e l’inizio della Riserva dello Zingaro (e qui si potrebbero aprire altre 123091823 parentesi sulla strabiliante bellezza naturale del luogo. I faraglioni e solo il cielo sa cosa) mi è sembrato quasi di arrivare a Portopalo. Avendo dormicchiato in macchina giusto un po’ (sorprendentemente perchè non riesco mai a dormire in generale men che meno in movimento. Il relax assoluto dei giorni deve aver influito positivamente non vi è altra spiegazione) quando le palpebre hanno sollevato le tendine la prima cosa che ho detto assonata è stata “Portopalo?”

Ho trascorso l’infanzia e la vita a Portopalo. Per me il mare è solo ed esclusivamente Portopalo e non vedo l’ora di sproloquiare su questo paesino che racconta di me, papà e mamma. Di come sia incommensurabilmente bello e selvaggio. San Vito Lo Capo è Portopalo in versione incommensurabilmente bella e non selvaggia. E non in miniatura. Strade più larghe, più curate e case oggettivamente tenute meglio che si confanno ad uno standard sociale nettamente più elevato. Non si tratta certo di case di pescatori, suvvia. Riadattate ormai al fascino innegabile di una località turistica dove già da come sono abbigliate le tizie sulla via del passeggio si intuisce su che target si aggiri il tutto. Certo è che se ce la volessimo finire con i cappellini di gucci in monogramma GG con banda verde rossa, sarebbe proprio il caso. E’ tamarro, facciamocene una ragione suvvia.

Perdono il monogramma monocolore in nero di pelle della Gucci ma quello in tessuto è un insulto. Soprattutto a San Vito Lo Capo che non lo merita. Una Portopalo però mischiata a Sidi Bou Said. E qui volevo arrivare. Perchè nonostante i colori siano quelli, c’è un tripudio di azzurrino (proprio come a Mondello e proprio come nella Cattedrale. Ci deve essere un’allegra perversione per questo colore. Ed io non potevo pensare di non portare Cecilia, lo ammetto). Bianco e Azzurro e tutto molto tunisino, chiaramente. L’immane fortuna di aver trovato la Preview del famoso Cous Cous Fest ci ha fatto gridare al miracolo!

Perchè è da una vita che diciamo di dover andare al Cous Cous Fest senza mai riuscirci. Con dieci euro negli stand puoi accaparrarti un piattone di Cous Cous gigante scegliendo due gusti tra quattro, una mini cassatella che nonostante fosse leggermente industriale non promette male per nulla e un bel bicchierozzo di vino.

Il cous cous strepitoso che non ho potuto purtroppo assaggiare perchè solo ed esclusivamente con pesce (in nessuna versione era prevista quella vegetariana) era irrorato di salsette e preparato in dei meravigliosi Tajine dove la cultura marocchina e tunisina si univano alla siciliana di Caltagirone. Meravigliose ceramiche di Caltagirone facevano da contorno a linee arabe (e qui come si faceva a non pensare ad Ale?). Allestiti poco distanti dei tendoni con dentro tappeti persiani, salottini, puff, tavolini, lampade. Tutto in stile marocchino. Arrivi lì. Ti siedi insieme agli altri e si mangia insieme. Bellissimo. Un’esperienza bellissima senza null’altro da aggiungere. La convivialità di questa multietnicità sotto le tende (vi era un gruppetto di Parma, tedeschi, marocchini, nippotorinesi, siciliane, ed anche una bimba di sangue misto con un papà biondissimo e altissimo e una mamma bassissima scurissima bellissima. Il risultato era una puffetta che definire strepitosamentebella era un’offesa).

Insomma Il Cous Cous Fest in cima alla classifica della To Do List in quel di settembre ( e magari con l’amato Fastidio e consorte, sarebbe un sogno) ma semmai vi capitasse di godervi la Preview senza indugio attraversate le stradine di San Vito Lo Capo. Scoprirete che esiste anche il Chocolate Kebab, gelaterie Slow Food (che mi riservo per dopo con post specifico) e una moltitudine di gentilezza che ti fa sentire a casa.

6. Dattilo. Devi andare a Dattilo assolutamente se vuoi mangiare il miglior Cannolo Siciliano. Perchè questo è un tasto dolente, lo confesso. Il cannolo qui in sicilia ce lo contendiamo tutti. Io ne ho parlato e sproloquiato nel periodo pasquale proprio qui.

Sta di fatto che ognuno lo fa un po’ come vuole e ognuno è convinto del fatto che il proprio sia migliore dell’altro. Fermo restando che anche io sono convinta che il sapore del cannolo sia assolutamente soggettivo, rimane comunque una grande verità sulla diversità. Pochi chilometri di distanza in Sicilia ma mondi completamente diversi.

Mentre nella parte orientale il cannolo è ormai un prodotto di pasticceria a tutti gli effetti e non troverà di certo palati ostici, quello occidentale è di tutt’altra natura. Cerco di essere più comprensibile (o almeno ci provo, santo cielo). Nella parte orientale della Sicilia il Cannolo è rimasto il Vecchio Cannolo della tradizione Siciliana. La ricotta di pecora non è eccessivamente lavorata con lo zucchero e non contiene una moltitudine di canditi, pistacchi, mandorle e solo il cielo sa cosa. La cialda è dura, compatta, sa di vino e cannella (e qui il mio  amico Simone potrebbe avere giusto qualche problemino)  e si sente moltissimo la fierezza e consistenza pronta ad accogliere la morbidezza. E’ fritto e si sente. E’ pesante e si avverte. E’ di carattere ed è innegabile.

Nella parte occidentale della Sicilia invece il Cannolo è una versione moderna che non si confà assolutamente alla tradizione siciliana. La ricotta di pecora è lavoratissima con lo zucchero e resa crema. Non ve ne è solo una tipologia ma con canditi – senza canditi- con cioccolato- senza cioccolato- con pistacchio- con mandorle- con pezzi di cioccolato- con frutta candita laterale- etcetcetc. Si ha quasi difficoltà a capire che sia ricotta. Ricordo perfettamente che Chiara (la mia Prospero, sì) due anni fa fuggiva a gambe levate dal cannolo proprio per una forma di idiosincrasia nei confronti della ricotta ma si è resa presto conto che il Cannolo nella provincia di Catania tutto è tranne che selvaggio e tradizionale. Non contenti qui nella sicilia orientale si fa con cioccolato, pistacchio, crema e visto che siamo i soliti pazzi esagerati anche con la chantilly, il gelato e vergognosamente altro. Un po’ come gli arancini ho notato questa tradizione maniacale a Palermo nell’usare gli ingredienti nativi dei prodotti e questa bizzarra fantasia del Catanese di infilare roba a caso in qualsiasi situazione.

Credo faccia parte di una megalomania catanese congenita. Il cannolo di Dattilo in alcune guide particolarmente di nicchia viene indicato come Il cannolo per eccellenza. Dopo aver visitato Trapani (santo cielo la Granita di Gelsomino? Ne dobbiamo parlare, sì)  ci siamo diretti in questo paesino talmente piccolo da essere segnalato a stento dal navigatore. Diverse guide e altri appunti di viaggio sulla rete lo indicavano, vuoi per leggenda popolare o meno, come una fondamentale tappa gastronomica. In realtà è un baretto piccolissimo e alle 4.25 ci sono già tantissime persone che attendono fuori. Chi seduto nelle sedie di plastica lasciate fuori, chi in piedi, chi dentro la macchina.

Quando passiamo e tutti sanno che siamo “forestieri” non occorre neanche dire ” a che ora apre?” perchè ci guardano e dicono “alle cqqqquattro e menza rapemu!”. Sorridiamo, posteggiamo e ci becchiamo tutti gli sguardi di un pomeriggio assolatissimo mentre due cagnetti fanno da guardia all’Euro Bar di Dattilo. Il Nippotorinese consuma velocemente questo cannolo perchè strada e impegni ci attendono. Io cerco di mettere a fuoco con la macchina due signore vestite di nero che tanto ricordano la mia terra fingendo di fotografare un cannolo. Roba assurdamente assurda.

Come la forma. Perchè. La forma è assurdamente armoniosa e difficilissima da emulare. Somiglia ad una farfalla, poi ad un papillon e poi ad un fiore che racchiude segreti. E’ selvaggio questo cannolo, proprio come avevamo immaginato. E’ diverso. E’ vero, sincero. Senza tanti fronzoli. Ti viene servito su un vassoio alla meno peggio, in un locale con un’insegna vergognosamente anni ottanta. Non hanno un logo, non hanno una segnalazione Michelin, non è slow food, non è nulla.

Ma è un cannolo, cacchio.

Un cannolo enorme non quanto quello di Piana degli Albanesi ma enorme per gli standard ufficiali. Che ti colpisce per l’assurdità geometrica e architettonica e per la freschezza del prodotto. Che è fragile come stucco Serpottiano ma che resiste e persiste nella memoria e nel tempo. Raccontandoti. Facendoti sentire turista e appartenenente alla terra fossi pure Slovacco.

Non è zuccherato. Non è lezioso. E’ spartano. Greco e Siculo.

E’ di tutti. Come la Sicilia. Perchè la Sicilia è di tutti. E’ stata casa di tutti e per tutti. Ed è per questo che nel Dna vi è accoglienza e porta aperta. Quando arriva il lato oscuro non bisogna dimenticare mai che solo questo non è.

E’ un cannolo siciliano come Siculo comanda.

E quindi sì mi sa proprio che il Cannolo di Dattilo va provato.

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Inciso: Qualora sorprendentemente qualche impavida creatura fosse giunta qui neuronalmente provata, potrei azzardare di chiedere un commento/considerazione sulla nuova testata/grafica estiva? No perchè a me sul serio non convince per nulla ma qualora ci fosse qualcuno abile nel plagiarmi e mentirmi che no. Va benissimo così. Io eviterei ulteriormente di crogiolarmi in futili interrogativi. Cosa ho detto sinceramente non lo so. So che voglio gli occhiali fucsia di Girolamo e che devo smetterla di cambiare grafica al template. E’ un’attività che mi innervosisce parecchio.

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